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Contributi

Milano come distretto culturale per la crescita

Catalyst – Centro di Ricerca Economico

Possiamo riassumere in estrema sintesi l’economia capitalistica in 3 macro-teorie: quella fondativa della materia di Adam Smith (La Ricchezza delle Nazioni, 1776), quella keynesiana (Teoria Generale dell’Occupazione, dell’Interesse e della Moneta, 1936) e quella della Crescita il cui fondatore è Robert Solow nel 1956. Dato che le prime 2 realizzano i loro principali effetti nel breve e nel medio periodo, quando vogliamo parlare di crescita economica di lungo periodo e impostarne le relative strategie di politica economica dobbiamo per forza fare riferimento all’analisi neoclassica della curva della funzione di produzione in modo da poter impostare una più corretta ricetta in termini di sviluppo. Quando parliamo di Teoria della Crescita rileviamo che esiste un gap vistoso, inspiegabile, tra la crescita reale del PIL e quanto invece rilevato dalle misurazioni in termini matematici tramite lo studio dell’andamento della curva di produzione nel lungo periodo, dipendente dai 2 fattori produttivi principali: capitale e lavoro dato che questi ultimi due hanno rendimenti decrescenti (più li utilizzi più rendono di meno nel tempo). Questo vuol dire che c’è qualcosa di magico che non riusciamo ad identificare tra un qualcosa rilevato dalla contabilità nazionale e quanto ci può dire in termini matematici la scienza economica. Che cosa determina questo scostamento così marcato? Questo qualcosa di inspiegabile si chiama Economia della Conoscenza così come indicato nel famoso articolo del 1990 dal premio Nobel 2018 per l’economia Paul Romer, intitolato Endogenous Technological Change (Journal of Political Economy) in cui viene completato il lavoro di Solow, identificando nella Conoscenza il fattore che spiega gli scostamenti di crescita nel tempo fra le 2 curve di produzione, analizzate rispettivamente ex ante ed ex post.

Pertanto nel momento in cui vogliamo progettare a livello europeo, nazionale o locale una politica economica della crescita non possiamo non considerare la variabile Conoscenza.

Esistono tantissime definizioni di conoscenza, la più rudimentale è quella di Informazione, come principale immaterialità rispetto a quella tangibile del Prezzo, risalente a Von Hayek e alla Scuola Austriaca fino alle più moderne, tutte elencate da Dominique Foray nel suo libro del 2000 (L’économie de la connaissance). Esempi di conoscenza sono: l’istruzione, il software alla base della tecnologia, la creatività (conoscenza soggettiva) alla base di industrie come il cinema, la televisione, moda, architettura, ecc., e la cultura che è la conoscenza nobile, quella di più alta qualità che l’uomo possa possedere e produrre, quella che mette insieme questi 4 proprietà: 1. La parte tangibile: le opere, l’infrastruttura (es. il Duomo di Milano, gli Scavi di Pompei, Reggia di Caserta, ecc.), il Patrimonio Culturale; 2. La dimensione creativa: ricerca, servizi, marketing, ecc.; 3. Le sue diverse manifestazioni: formazione, rappresentazione teatrale, produzione audiovisiva, ecc.; 4. Le sue esternalità positive: la piena sintonia con l’Ambiente.

La Conoscenza è un bene in senso economico (pubblico, privato o misto) quindi anche la Cultura lo è. Pertanto siamo autorizzati a parlare di Economia della Cultura e a poter pensare una gestione economica per la cultura in tutte le sue forme. Non solo, ma è valida la seguente relazione: più cultura = più reddito (o crescita o PIL). Inoltre la Cultura, come tipologia di conoscenza, è un fattore produttivo che presenta rendimenti crescenti: il tipo di crescita che determina non è di tipo addizionale, ma moltiplicativo. Il PIL può crescere davvero tanto se si investe in cultura! In più la Cultura è un tipo di conoscenza che spesso è legata a una dimensione territoriale: è più efficace se inserita in politiche di sviluppo socio-economico locale piuttosto che nazionale. E’ in questo contesto che manifesta la sua massima efficienza produttiva.

Pertanto se vogliamo rilanciare in senso moderno una città come Milano non si può prescindere dalla Cultura, contribuendo a realizzare il terzo passaggio storico-economico della città: quello al Distretto Culturale, che segue l’attuale città dei servizi e il precedente distretto industriale.

Il modello tradizionale di gestione del settore culturale

L’economia della cultura è spesso concepita come un qualcosa a sé stante, separata dal contesto produttivo: un peso, una palla al piede; una cosa di cui spesso si deve fare carico lo Stato o le Amministrazioni locali.

Il principale modello di valorizzazione del patrimonio culturale è il Modello Fruitivo che interpreta il Patrimonio Culturale come fattore qualificante della catena del valore del sistema produttivo locale:

1 – La risorsa culturale è in grado di attrarre visitatori in una data area territoriale;
2 – I visitatori generano una spesa;
3 – Questa spesa si trasforma in reddito e in capitale per lo sviluppo economico locale;
4 – I costi di Conservazione e Consumo fanno parte del processo di valorizzazione integrato.

Diventa pertanto assolutamente necessario cambiare punto di osservazione in merito alla gestione dei beni e delle attività culturali adottando la prospettiva distrettuale, dove la cultura può essere anche una risorsa in grado di dare un contributo alla dimensione dello sviluppo locale, cittadino, il che non significa far prevalere principi, logiche, criteri e strumenti economici sulla natura valoriale e ideale che connota tradizionalmente il settore culturale italiano.

Pertanto la nuova visione deve essere: i distretti culturali sono il motore di sviluppo principale delle economie locali.

Ottica del distretto culturale milanese

La città di Milano deve impostare una chiara strategia di lungo periodo che ne governi lo sviluppo per i prossimi 20-30 anni. Deve per prima adottare l’ottica del distretto culturale dato che l’attuale modello predominante in tema di cultura (fare cultura o usare il nostro patrimonio culturale) non basta più. Occorre uno sviluppo evolutivo del territorio che trasformi la città di Milano in vero e proprio distretto culturale le cui caratteristiche devono essere le seguenti:

1 – Valorizzazione della cultura e del patrimonio culturale (tangibile e intangibile) come base dello sviluppo economico della città;

2 – il policy maker è solo locale e deve essere contemporaneamente pubblico (Comune) e privato. Affrontare e risolvere il problema del rapporto tra le istituzioni dedicate alla gestione del patrimonio culturale e lo sviluppo economico territoriale;

3 – gli investimenti privati in cultura non devono essere solo delle fondazioni bancarie, ma occorre agire per attivare iniziative di filantropia individuale e soprattutto un principio di partecipazione dei cittadini milanesi in modo tale che vengano attivamente coinvolti nello sviluppo futuro della città;

4 – la politica culturale come strumento di riconversione delle aree urbane più periferiche;

5 – costruire un database pubblico, consultabile da tutti, su tutte le iniziative culturali in essere nella città e tutte quelle che andranno in progettazione in modo tale che i cittadini milanesi possano conoscere e vivere direttamente l’economia della cultura e quindi conoscerne anche le opportunità di lavoro. Ci sarà tuttavia un progetto del tutto nuovo e portante per ogni area della cultura;

6 – Integrazione delle dotazioni culturali, sia immateriali che materiali, con gli altri settori produttivi della città in modo che la vecchia “città dei servizi” si integri perfettamente nel nuovo distretto culturale;

7 – L’organizzazione del distretto: il policy network. Organizzati attorno a specifici programmi e politiche pubbliche (opportuni database) tra attori pubblici e privati si definiscono in maniera volontaria e artificiale forme di relazione stabili, ricercando un’azione collettiva per una soluzione comune di policy: comportamenti estremamente collaborativi fra i soggetti economici;

8 – Replicare il modello delle relazioni del distretto industriale come sistema all’interno del distretto culturale milanese: un numero consistente d’imprese, appartenenti alla stessa filiera produttiva o a filiere economiche collegate si concentra nello stesso luogo, utilizzando la vicinanza come mezzo di relazione e di scambio all’interno del quale ognuno si specializza (sotto-distretti del cinema, della musica, del teatro, ecc., concentrati in zone prestabilite della città, determinando la crescita dimensionale nazionale ed internazionale;

9 – Si eviti la concentrazione eccessiva del reddito con prodotti finanziari nuovi per far partecipare i cittadini allo sviluppo del distretto.