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Interviste

Nuove professioni: il codista

 

E se in un prossimo futuro sulla carta d’identità, alla voce PROFESSIONE, scrivessimo “CODISTA”?

Giovanni Cafaro è davvero un tipo particolare. Non a caso è internazionalmente noto. La sua  rassegna stampa è impressionante: decine di interviste sulle più importanti radio, Tv e giornali sia italiani che stranieri. Incontrandolo di persona la cosa stupisce un po’ meno. Ha una quarantina d’anni e un passato di direttore marketing, oltre a una laurea in Scienza della Comunicazione che, per una volta, mostra di avere davvero dato i suoi frutti: Giovanni infatti è chiaro, comunicativo ma sintetico e concreto. Ed è anche simpatico: ispira subito fiducia e serenità.

 

Cos’è esattamente un codista?

Un codista è una persona che fa le code in tutti gli uffici pubblici ma non si limita solo a questo: svolge anche le pratiche burocratiche dei clienti. Comunque l’essenza di questo lavoro è la coda che, nella stragrande maggioranza dei casi,  non manca. Ogni coda è diversa da un’altra, ma è l’elemento che è sempre presente.

 

So che hai un titolo universitario che dovrebbe agevolarti nel disbrigo delle pratiche. È così o l’essenza di questo lavoro è solo la coda?

Sono laureato in Scienza della Comunicazione. Diciamo che in questo lavoro avere una buona base culturale è molto importante perché aiuta conoscere le leggi e i continui aggiornamenti che vengono fatti, ma è un lavoro basato soprattutto sulla professionalità e sull’organizzazione. Le persone ti affidano delle pratiche particolari, riservate, di carattere sia privato che professionale, e anche soldi in alcuni casi, e tu devi portare la missione a compimento, nel modo migliore e, magari, nel più breve tempo possibile. Questo è fattibile se si conoscono ambienti e relativi regolamenti, in modo da andare “a colpo sicuro”,  cosa non facile per il normale pubblico utente, dato che spesso le informazioni vengono date in modo incompleto. Questo fatto crea il rischio di dover rifare la coda più volte.

 

Quindi non si tratta solo di essere organizzati ma anche di aggiornarsi continuamente sulle nuove normative che, in Italia, sono in continuo cambiamento.

Esatto, si entra in un mondo particolare, fatto di oscuri meandri burocratici. A volte non trovi tutte le informazioni sul sito, oppure esistono enti e uffici che non hanno uno sportello informazioni, e ti capita di fare la coda anche solo per capire come evadere la pratica. Le regole del gioco cambiano spesso e  non sempre vengono comprese. Può esserci l’impiegato attento, informato, ma anche quello meno scrupoloso che non legge tutte le circolari e gli aggiornamenti. Allora sta  a te, con la massima cortesia possibile, fargli capire che la cose ora stanno diversamente. Insomma, si entra in un mondo particolare.

 

Quindi occorrono anche doti di pazienza e diplomazia?

Assolutamente sì. Una persona impaziente e dai modi bruschi non combinerà un granché in questo lavoro. E’ molto importante come ti poni nei confronti dell’interlocutore. In particolare, calma e pazienza servono sia durante le code che nell’aggirarsi nel ginepraio della burocrazia. Capita anche a me di spazientirmi, ma bisogna mantenere la calma.

 

Come ti è venuta l’idea di svolgere proprio questa attività?

Mi è venuta per una serie di vicissitudini che mi sono capitate. Io ero responsabile marketing di un’azienda che poi si è trasferita all’estero e mi sono trovato senza lavoro. Avendo la necessità di ricollocarmi  ho iniziato la solita trafila dei curriculum e dei colloqui. Dopo alcuni mesi, però, le cose non erano cambiate: complice la crisi ed avendo una condizione anagrafica sfavorevole, avendo quarant’anni, ed essendo fuori da certe logiche come quelle dei contratti di formazione e degli stage, ho deciso di inventarmi un lavoro. All’inizio non avevo ben chiaro cosa fare, perché non è facilissimo inventarsi un lavoro. L’idea mi è venuta proprio mentre ero in coda in posta per pagare un mio bollettino. C’era molta gente in fila e, ovviamente, erano tutti scontenti. Lì mi si è accesa la lampadina: offrire un servizio che sollevasse dal fare la coda chi non avesse voglia o tempo di farla. Sono andato a casa, ho creato il mio volantino, ne ho stampate cinquemila copie e ho iniziato a distribuirlo per le strade di Milano privilegiando le zone del centro, che hanno una maggiore densità di uffici e di professionisti.

E le risposte sono arrivate subito copiose?

Sì, nel giro di qualche giorno. All’inizio non c’è stato subito un assalto ma sono arrivate le telefonate di alcuni clienti, professionisti, che avevano la necessità di fare code in alcuni uffici e non volevano mandare la segretaria o affidarsi ad altre persone. Parallelamente si è creato anche un crescente clamore mediatico perché a questa mia iniziativa si sono appassionati vari organi di informazione. Questa popolarità ha ovviamente contribuito a far crescere la mia clientela.

 

In cosa si differenzia la tua attività dalle altre agenzie già esistenti di disbrigo pratiche?

La differenza è che io faccio essenzialmente code, a 360°, che sia una pratica burocratica o un altro tipo di servizio, anche più privato, tipo fare la fila davanti ad un negozio. Per esempio, mi è capitato anche di fare una coda per conto di alcuni ragazzi per acquistare un libro di Belen Rodriguez, o dei biglietti per un concerto. Ho fatto anche la spesa al supermercato.

 

Come  stai sviluppando l’attività? Non puoi fare tutte le code richieste da solo…

Finora, grazie ad una buona organizzazione, riesco a gestire tutto in prima persona. Certo, il mio prossimo obbiettivo è di avvalermi di collaboratori, anche se mi piace fare tutto in prima persona perché è un’attività che mi diverte. I nuovi collaboratori andranno opportunamente formati e addestrati sul campo: cioè  buttati in mezzo a qualche coda! Un mio obbiettivo è anche quello di aprire altre agenzie di codisti in altre città, in forma di franchising, in modo da offrire il mio servizio pure ai cittadini di altre città e, contemporaneamente, offrire una opportunità di lavoro. A quest’ultimo tema sono molto sensibile, avendo vissuto il problema in prima persona.A long queue.

 

Ricapitoliamo le caratteristiche richieste a un aspirante codista: pazienza, diplomazia, nervi saldi, socievolezza, voglia di informarsi ed aggiornarsi, capacità psicologiche e strategiche, un pizzico di astuzia…

Esattamente!

 

Qual è il tipo di coda che ti viene richiesta più frequentemente?

L’Agenzia  delle entrate, il catasto, l’Inps, alcuni uffici del comune, il tribunale, sono le code per eccellenza. Poi i pagamenti delle utenze. Insomma, le code che danno noia a tutti.

 

Cosa ti deve dare di suo il cliente perché lo rappresenti?

Bastano una delega e la fotocopia del documento di identità.

 

Ti è mai capitato qualche episodio buffo, divertente durante la tua attività di codista?

Sì. Per esempio, c’è stato un momento all’inizio di questa attività in cui mi recavo spesso all’Agenzia   della entrate e mi è capitato che, un giorno, avendomi riconosciuto, mi hanno  proposto di saltare la coda per agevolarmi. Io però ho rifiutato per due motivi: prima di tutto non mi sembrava corretto nei confronti degli altri clienti, poi io sono pagato per fare la coda!

 

Quante pratiche puoi svolgere per ogni coda?

Effettivamente c’è un limite. Io quando posso cerco di associarle, ma spesso sono pratiche totalmente diverse, che richiedono code diverse.

 

Come inganni il tempo dell’attesa?

In genere leggo: ho sempre con me un libro e un quotidiano. Poi rispondo al telefono. Insomma, cerco di renderla una coda costruttiva, attiva, per quanto possibile.

 

Pensi che l’attività di codista possa prendere piede anche all’estero o la consideri una peculiarità italiana?

La considero una peculiarità italiana, legata all’eccesso di burocrazia del nostro Paese  ma, in misura ridotta, potrebbe attecchire anche all’estero.

Secondo te, l’attività di codista è solo una novità o ha qualcosa di innovazionista?

Oggi il mondo del lavoro è cambiato e, con esso, deve cambiare il nostro atteggiamento verso la professione. Il lavoro bisogna inventarselo, essendo flessibili e abbandonando un atteggiamento passivo. L’attesa di essere chiamati e, magari, aspirare al posto fisso, non è più ammissibile. Ognuno deve diventare attore, imprenditore di se stesso e capire cosa serve al mercato e alla società per poi proporlo. In questo senso la vedo come una attività innovazionista.

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